No, a dirlo non sono gli ingegneri di Canon dopo aver sentito l’ultima lamentela perché non mettono il 4K sulle loro foto/videocamere quando anche l’iPhone ce l’ha.
A parlare è Steve Yedlin, direttore della fotografia che ha lavorato a “qualche” film e che perciò vale la pena di ascoltare.
In fin dei conti il 4K è una tecnologia relativamente nuova, e ci sta che qualcuno del settore preferisca ragionarci sopra in pubblico per esporre un punto di vista diverso anche ad amatori o addetti ai lavori affascinati dalle possibilità delle alte risoluzioni (che comunque ci sono, come dicevamo in questo nostro articolo sul 4K).
Yedlin è uno di quelli che mettono le mani avanti, e che ci dicono che la corsa alle alte risoluzioni dovrebbe fermarsi.
Un esperimento sulla percezione
Nel suo blog Yedlin ha caricato dei file video per condurre un esperimento piuttosto interessante: ha preso sei diverse videocamere di alto livello – per intenderci, quelle usate in produzioni cinematografiche più o meno grosse – e le ha paragonate tra loro per la risoluzione.
Ecco l’elenco:
- Alexa (3K)
- Alexa 65 (6K)
- Sony F55 (4K)
- RED Weapon (6K)
- ARRI 435; pellicola 4-perf super-35mm (Scandita a ~6K)
- MSM by IMAX; pellicola 15-perf 65mm (Scandita a ~11K)
Le ultime due sono macchine a pellicola, e nel caso dell’ultima stiamo parlando di una pellicola con lato da 65mm e che scandita ha portato a una risoluzione di 11K. Stiamo parlando del tipo di supporto che Christopher Nolan ha usato recentemente per Dunkirk.
L’esperimento è molto interessante perché le riprese sono cieche: non sappiamo con che macchina sono stati ripresi i vari spezzoni.
Le conclusioni di Yedlin
Questo test serve secondo Yedlin a dimostrare che la fissa del 4K, dell’UltraHD, è per l’appunto solo una fissa: allo spettatore è sufficiente il 2K, e il 4K è un lusso in più e un peso che non ha molto senso sopportare.
In fin dei conti, sempre per Yedlin:
il passaggio da Standard Definition a Ultra definition è stato epocale, mentre quello al 4K lo sarà molto meno. Abbiamo raggiunto il picco della definizione necessaria
È possibile leggere qualcosa di più sull’argomento in un suo articolo del 2014 che parla di come il 4K sia un’esigenza dei produttori di videocamere, più che dei creatori.
E qui trovate una sua intervista in inglese, rilasciata alla rivista online della ASC, la American Society of Cinematographers.
Riportiamo qui alcune parti dell’intervista, tradotte quasi letteralmente.
Che tipo di risposta hai avuto dai colleghi a cui hai mostrato questi test?
Non ci sono informazioni sconosciute in questi test, ma i colleghi con cui ho parlato di solito non sono quelli che prendono le decisioni in una produzione, e i decisori sono più propensi ad ascoltare gente che descrive la qualità di immagine in termini vaghi che assomigliano a quelli dei recensori di vini.
Quindi i miei colleghi sono stati molto contenti, perché questi test danno loro uno strumento per cominciare una vera discussione sulla qualità di immagine.
Di nuovo: è roba che conoscono, ma è presentata in maniera chiara, osservabile, e io parlo lo stesso linguaggio di quelli che prendono le decisioni.
I direttori della fotografia a cui ho mostrato i test sono invece entusiasti per una ragione diversa: queste sono cose che loro conoscono già a un livello “di pancia”, ma forse non avevano gli strumenti per spiegare o le motivazioni scientifiche che potessero supportare le loro sensazioni. Ho parlato con molti di loro che sono frustrati perché non possono girare con le camere che preferiscono o usare un certo flusso di lavoro a causa di disposizioni molto stringenti da parte dei produttori, dei direttori e degli studios.
Alcuni addetti ai lavori non hanno il background tecnico necessario a controbattere a queste disposizioni.
[…]
Le macchine da presa servono solo a raccogliere le informazioni; il modo in cui mostri quelle informazioni non dipende dal marchio della camera. Ma in noi è molto presente il concetto che sia invece la macchina a fare quello che vuole dei dati.
Siamo così condizionati da questa credenza che non stiamo nemmeno a guardare quello che c’è in mezzo, il flusso di lavoro per la produzione dell’immagine, e che questo può essere molto più importante nel determinare la qualità di immagine finale.
Siccome siamo in questo circolo vizioso abbiamo finito per credere che macchine differenti hanno caratteristiche di immagine differenti. E prendiamo decisioni basandoci su questa falsa premessa.
[…]
E voi che ne pensate? Vi sentite un po’ presi in giro? Siete d’accordo con Yedlin? La vedete in modo completamente diverso? Proviamo a iniziare una discussione su questo argomento!
A me interessa la “profondità” delle sfumature, e per quella, ad oggi, la migliore è pellicola su pellicola: ovviamente magari 65mm o 70mm… quella tipo “Hateful Eight” di Tarantino, o di “2001 Odissesa nell Spazio” di Kubrick, per intenderci.
Per “vedere” un film o una storia, in uno schermo grande di sala cinema vera, forse – dico “forse” – il 4K potrebbe essere un filino meglio, ma secondo me, dato che viene visto da abbastanza lontano, la differenza non si percepisce.
Diverso il discorso se si potesse lavorare per utilizzare la maggiore informazione per una maggiore qualità interna dell’immagine.
Nel professionale.
Il discorso generale invece sarebbe che il digitale potrebbe consentire dimensioni “creative” più agevoli che con la pellicola.
Anche qui, avere più bit, potrebbe consentire una migliore qualità nelle immagini “rielaborate”.
Ma qui il discorso diventa appunto un altro: molte elaborazioni visive che si sono viste, anche da parte di registi blasonati, raramente erano funzionali alla storia o alle emozioni.
Quindi, prima di passare a livelli superiori, bisognerebbe arrivare ai limiti creativi e funzionali di quelli che ci sono già.
Sarebbe
La “profondita'” delle sfumature (come dici tu) dipende dalla capacita’ del mezzo di ripresa di catturare la luce e del mezzo di proiezione di rappresentarla all’utente: a come stanno le cose oggi (2017) la maggiorparte delle camere digitali hanno una capcita’ di catturare la luce e i suoi colori superiore a quelle filmiche.
per la rappresentazione all’utente, anche se la pellicola puo’ avere i suoi meriti, per il 99.99% dei casi il pubblico vedra’ una rappresentazione digitale e quindi sono comparabili.
nel creare il DCP per “Dunkirk” abbiamo messo i proiettori (4k barco DLP e 70mm film) nella stessa sala, proiettato in split screen/butterfly i due contenuti allo stesso momento con Nolan and Hoyte che giudicavano la qualita’ della rappresentazione: il match e del 98%.
C’e’ da aggiungere che una pellicola dopo due volte che la vedi comincia a degradare (stiamo lavorando per il restauro di 2001 space odissey e i sorgenti sono degradati nel tempo) mentre il digitale sara’ visto sempre cosi per il resro dell’esposizione.
Walter Volpatto
Senior digital colorist
Fotokem.